Tunisia, confermato stato di emergenza per un mese

Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 26 novembre 2015

L’attentato del  24 novembre 2015, che ha devastato un pullman della guardia presidenziale mentre percorreva la centralissima  avenue Mohamed V di Tunisi, ha ucciso ben tredici persone. Dodici salme sono state identificate. Il corpo della tredicesima persona non ha ancora un nome.
Secondo Said Aïdi, ministro della Sanità, potrebbe trattarsi di un terrorista che si è infiltrato nel pullman.


Il vile atto
è stato rivendicato nella mattinata del 25 novembre 2015 dall’ISIS, tramite un comunicato apparso su alcuni account jihadisti: “I tiranni di Tunisi non conosceranno mai la pace, finchè la legge di dio non governerà la Tunisia”. Negli stessi account è apparsa anche la fotografia del presunto attentatore con  cintura toracica carica di esplosivo e il dito alzato – un gesto tipico dei militanti dell’ISIS – e il volto coperto da un foulard. Torna dunque lo spettro dell’ISIS nel Paese, responsabile anche degli attacchi al Museo del Bardo nella capitale e quello di Port El Kantaoui, località balneare turistica vicino a Sousse.

Il tredicesimo corpo confermerebbe dunque la pista dell’attentato-suicidio (http://www.africa-express.info/2015/11/25/tunisia-altro-attacco-dei-terroristi-saltato-il-pullman-della-guardia-presidenziale/).

Stando ai primi accertamenti, risulta che una persona con uno zaino contente dell’esplosivo  militare del tipo TNT e con degli auricolari sarebbe salito a bordo del bus. Sembra che qualche soldato della guardia presidenziale  che viaggiava  nel veicolo, avrebbe posto delle domande allo sconosciuto, che, a quel punto, avrebbe azionato la sua cintura imbottita d’esplosivo.

Nel primo pomeriggio del 25 novembre 2015,  il Ministero dell’Interno tunisino ha confermato che l’attentato è stato causato da dieci chilogrammi di esplosivo, ma non si è espresso ufficialmente che tra gli agenti sul pullman ci fosse anche  un kamikaze.

Sempre nello stesso pomeriggio è stata indetta una riunione straordinaria del Consiglio per la sicurezza nazionale, presieduta  Béji Caïd Essebsi, presidente della Tunisia; al suo fianco il primo ministro,   Habib Essid, il presidente dell’Assemblea Nazionale, Mohammed Ennaceur e i ministri dell’Interno e della Difesa, rispettivamente Mohamed Najem Gharsalli e  Farhat Horchani.

Durante la seduta straordinaria è stato confermato lo stato d’emergenza su tutto il territorio nazionale per un mese, il coprifuoco nella capitale fino a nuovo avviso. Inoltre è stato annunciata la chiusura delle frontiere terrestri con la Libia.
“Queste misure straordinarie  saranno rispettate scrupolosamente” – ha spiegato Habib Essid – “E la legge antiterrorista sarà applicata alla lettera”.

Il ministro dei Trasporti ha fatto sapere che porti e aeroporti sono già sotto sorveglianza speciale.

Secondo le autorità tunisine, gli autori materiali dei due precedenti attentati al Museo del Bardo e a Sousse sarebbero stati addestrati in un campo in Libia, probabilmente a Sabratha, sul litorale occidentale, vicino alla frontiera con la ex-colonia francese.

Fino al 24 novembre 2015 non ci sono più stati altri attacchi jihadisti nel Paese, ma lo scorso 13 novembre è stato decapitato un giovane pastore di soli sedici anni vicino a Sidi-Bouzid. L’assassinio è stato rivendicato dall’organizzazione estremista; ha  specificato che l’esecuzione si è resa necessaria, visto che si trattava di un “informatore”.

Il 17 novembre 2015, il Ministero dell’Interno tunisino ha  reso noto l’arresto di sette donne in località non specificate, per attività di propaganda nel polo mediatico  Jund al-Khilafa, tradotto: soldati del califfato (branca dell’ISIS tunisino).


Dalla fine del 2014 fino all’inizio del 2015 l’influenza dello Stato islamico ha avuto un certo peso nella galassia jihadista tunisina, cioè fino alla preminenza della brigata Okba Ibn-Nafaa, affiliata ad al-Qaeda del Magreb islamico (AQMI), molto attiva nei massicci montagnosi centro-occidentali, vicino alla frontiera con l’Algeria.

La Tunisia è stata anche teatro di rivalità tra ISIS e al Qaeda, fortunatamente non comparabili agli scontri fratricidi come quelli in Siria e in Libia.

Dopo l’attentato al Museo del Bardo, le autorità hanno lanciato un’offensiva massiccia contro gli uomini dell’Okba bn-Nafaa. Il 28 marzo scorso è stato ucciso il loro capo, l’algerino Khaled Chaib, alias Lokman Abou Sakhr.  Secondo alcuni analisti, il gruppo legato all’AQMI, avrebbe perso  potere dopo la morte del suo leader.

Da allora l’ISIS non dispone più di una vera e propria estensione territoriale in Tunisia, come quella che è riuscito a conquistarsi a Sirte o in prossimità di Derna,  nella vicina Libia, dove vige il caos più totale.

In Tunisia ISIS può comunque fare affidamento su cellule  dormienti, composte da simpatizzanti e combattenti e distribuite su tutto il territorio del Paese, anche negli agglomerati urbani; sono  pronte ad entrare in azione in qualsiasi momento e colpire obiettivi ben identificati come località turistiche, sedi governative o negozi di alcolici. La Libia funge come base di supporto: fornisce armi e addestramento.

L’ISIS può contare su un potenziale umano considerevole (http://www.africa-express.info/2015/02/07/disadattati-emarginati-senza-futuro-ecco-deve-lisis-recluta-jiadisti-europa/); oltre cinquemilacinquecento tunisini sono partiti a combattere per la jihad in diversi Paesi stranieri. Nella sola Siria ci sono più di quattromila foreign fighters tunisini, in Libia tra mille e millecinquecento e sono proprio quest’ultimi a rappresentare il vero pericolo per l’ex-colonia francese,  motivo per il quale  le autorità hanno deciso di costruire un muro al confine tra la Libia e la Tunisia.

Il contrabbando, tollerato fino a qualche tempo fa, fonte di guadagno per molti giovani,  fungeva da ammortizzatore sociale; ora  si è talmente radicato in alcune zone,  che il governo ha deciso di intervenire drasticamente. Non sarà un compito facile. Finchè il governo tunisino non riuscirà creare nuovi posti di lavoro, l’ISIS sarà sempre più potente: sa dove cercare i giovani ed arruolarli per la propria causa.

Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes

Cornelia Toelgyes

Giornalista, vicedirettore di Africa Express, ha vissuti in diversi Paesi africani tra cui Nigeria, Angola, Etiopia, Kenya. Cresciuta in Svizzera, parla correntemente oltre all'italiano, inglese, francese e tedesco.

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