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Terrorismo: manca coordinamento tra servizi. Chiudere i paradisi fiscali

Speciale per Africa ExPress
Sandro Pintus
Firenze, 23 novembre 2015

“Ogni ambasciata ha un paio di 007, questi agenti non comunicano con l’ambasciatore perché dipendono dal ministero degli Interno. Dove c’è antagonismo tra i servizi e i diplomatici italiani l’ambasciatore non sa niente perché gli agenti riferiscono in Italia al ministero degli Esteri”. Lo ha affermato Massimo Alberizzi, intervistato da Federica de Santis, in studio nella diretta su SkyTG24 delle 10.00 dove è stato fatto un approfondimento sulla lotta all’Isis e al terrorismo globale.

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“Come si può parlare di efficienza dei servizi segreti? Ho fatto parte del panel del Consiglio di sicurezza Onu sul traffico d’armi nel Corno d’Africa. Mi sono trovato davanti al blocco delle intelligence dei Paesi occidentali che non dialogano tra di loro. Alcuni degli agenti mandati all’estero non parlano nemmeno inglese”.

“Il vero problema è tagliare i legami tra l’economia e i terroristi islamici – continua Alberizzi – Questi si muovono con tanti soldi e hanno mezzi: armi, auto 4×4, telefoni satellitari e una logistica importante”.

Massimo Alberizzi, direttore di Africa ExPress, in diretta a SkyTG24

Dopo la seconda serie di attentati a Parigi del 13 novembre scorso, che hanno causato 129 morti e 433 feriti, e l’attacco all’hotel Radisson Blu di Bamako, in Mali (27 morti), in Europa il livello di allarme si è alzato. Bruxelles durante il fine settimana ha decretato il coprifuoco che probabilmente continuerà ancora alcuni giorni.

Ma quanto è giusto alzare il livello d’allarme e quanto è efficace? “È sicuramente la risposta giusta – conferma Alberizzi – perché è l’unica cosa che si può fare dal punto di vista operativo immediato ma tagliare i fondi ai terroristi deve essere prioritario. Per esempio, molti dei sequestri delle navi nel Mar Rosso di cui sono stati pagati i riscatti finiscono nelle mani degli Shabaab, movimento islamista sunnita attivo in Somalia. Questo denaro non resta in Somalia ma finisce nei paradisi fiscali e serve per comprare le armi, le intelligence. Molti servizi di intelligence africani, anche quelli che collaborano spesso sono corrotti. In alcuni casi i terroristi sono stati rilasciati probabilmente perché qualcuno ha pagato i carcerieri”.

Il presidente francese François Hollande e il premier britannico David Cameron davanti al Bataclan

Nel frattempo in Europa continua la caccia ai terroristi delle stragi di Parigi e ai loro fiancheggiatori. La polizia francese, via twitter, fa appello per aiutare l’identificare il terzo kamikaze dello Stade de France e in Belgio sono state arrestate 16 persone. Secondo quanto scrive La Repubblica, in Italia gli 007 stanno controllando un centinaio di persone di cui la metà sono in carcere perché potenzialmente vicine al fondamentalismo islamico.

“Il vero problema sono i paradisi fiscali dove le organizzazioni terroristiche nascondono i loro tesori – spiega Alberizzi – Quando si pagano 10 o 20 milioni di US$ per liberare una nave in Somalia, questi soldi vengono dirottati nelle grandi capitali economiche: Dubai, New York, Londra che è considerata un grande paradiso fiscale. Questi fondi vengono spesi per organizzare la logistica degli attentati. Dietro agli attentatori c’è una rete che va pagata: viaggi aerei e traffici di armi. Riguardo a questo problema la politica, non fa niente”.

Tweet della polizia francese per l’identificazione del terzo kamikaze dello Stade de France

Il direttore di Africa ExPress ha fatto l’esempio della cooperante italiana Rossella Urru rapita il 22 ottobre 2011 nel campo profughi Saharawi nel deserto algerino. Per la sua liberazione le autorità italiane hanno smentito il pagamento di un riscatto. “Il mio stringer Serge Daniel – dice Alberizzi – Stava facendo un’intervista al capo islamico. Costui ha interrotto l’incontro perché, ha detto scusandosi, doveva andare a contare i soldi”.

Durante un vertice dell’Unione Europea a Nizza,  qualche anno fa, qualcuno disse che bisognava mettere sotto controllo i paradisi fiscali. “Tony Blair, allora premier britannico, si rifiutò perché le isole della Manica, l’Isola di Man, le isole Vergini e Londra sono paradisi fiscali – conferma Alberizzi – Non si vuole agire sul piano finaziario perché troppi interessi coinvolgono troppa gente”.

Sandro Pintus
sandro.p@catpress.com
twitter: @sand_pin

Redazione Africa ExPress

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