Wolleka, a Falasha Village near Gonder, Ethiopia, Africa
Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 18 novembre 2015
“Oggi abbiamo preso un’importante decisione: porteremo in Israele gli ultimi discendenti delle comunità che vantano origini ebraiche”, c’è scritto in un comunicato che cita il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu.
Dopo anni di attesa, il gruppo composto da poco più di novemila falascià, etiopi di religione ebraica, potranno immigrare in Israele nei prossimi cinque anni.
Questi ultimi falascià, che si trovano da anni nei campi di transito ad Addis Ababa e Gondar hanno atteso a lungo l’autorizzazione di Israele. Anche se il gabinetto ha votato all’unanimità questa delibera, il permesso d’entrata è vincolato all’esito positivo del processo di omogeneità con l’ebraismo, ha precisato il ministro degli interni Silvan Shalom.
La “legge del ritorno” dovrebbe permettere ai falascià di richiedere cittadinanza israeliana oltre che la residenza.
Alla fine degli anni settanta, minacciati da carestie e repressione del governo etiope, molti Beta Israel, come preferiscono farsi chiamare, visto il significato negativo che la parola falascià ha assunto nella lingua amarica (emigrato o straniero), passarono in Sudan. Purtroppo il governo musulmano sudanese fu altrettanto ostile nei loro confronti. Israele prese allora la decisione di trasportarli nel proprio territorio tramite un ponte aereo. Grazie a tre interventi, denominati “operazione Mosè”, “ operazione Giosuè” e “operazione Salomone” vennero trasferiti dall’Etiopia novantamila ebrei fino al 1991.
Anche se alcuni di loro hanno raggiunto posizioni importanti nell’esercito, nel pubblico impiego, altri sono diventati politici di rilievo e occupano una poltrona alla Knesset, la loro vita in Israele non è semplice e in linea di massima guadagnano un terzo in meno rispetto alla media.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes
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