Altro massacro a Mogadiscio: assaltato l’hotel dei giornalisti

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Dal Nostro Inviato Speciale
Massimo A. Alberizzi
Nairobi, 1° novembre 2015

L’hotel Sahafi, l’albergo di Mogadiscio diventato famoso al tempo dell’intervento delle Nazioni Unite in Somalia, all’inizio degli anni ’90, perché frequentato dai giornalisti stranieri, è stato teatro di un violentissimo attacco dinamitardo. Stamattina due autobombe sono state scaraventate contro il cancello e il muro di cinta del palazzo. E’ stata una devastazione. Subito dopo dall’enorme breccia aperta dall’esplosione sparando all’impazzata è entrato un commando di shebab, i terroristi somali che vogliono rovesciare il fragile governo sostenuto dall’Onu e dall’Occidente.

Sahafi distruzione

I miliziani a guardia dell’albergo hanno risposto al fuoco, ma c’è stata una carneficina: hanno perso la vita almeno 15 persone. I feriti sono almeno il doppio, alcuni molto gravi. Tra i morti il proprietario dell’albergo Abdirashid, di etnia habergidir saad, suo figlio, il generale Abdikarim Dhagabadan, che nell’agosto 2011 ha sconfitto gli shebab a Mogadiscio cacciandoli dalla capitale, e il parlamentare Mohamed Abdi Abtidoon.

Ucciso dai terroristi anche un fotografo, Mustaf Abdi Shafana, molto ben conosciuto dai giornalisti occidentali che frequentamo Mogadiscio e la Somalia. Abbiamo tutti lavorato con lui o lo abbiamo incontrato dietro qualche barricata o check point, nelle situazioni più complicate e pericolose. Le foto di Mustaf sono state pubblicate da giornali di tutto il mondo. La battaglia all’interno del complesso è durata un paio d’ore. Poi i miliziani, i soldati somali e quelli ugandesi corsi in aiuto degli attaccati hanno avuto la meglio.

Con Ilaria fuori da Sahafi

L’hotel Sahafi (Sahafi vuol dire press, stampa in arabo: quindi l’hotel dei giornalisti) era la base di tutti i reporter occidentali che hanno frequentato la Somalia negli ultimi 25 anni. Io ci ho vissuto 9 mesi dal 1993 al 1994 assieme ad altri colleghi stranieri e a Ilaria Alpi, che abitava nella stanza numero 314, accanto alla mia. In questi anni ci tornavo, ma saltuariamente. Una quarantina di quegli operatori dell’informazione che hanno raccontato quella stagione a Mogadiscio, molti dei quali hanno rischiato la vita, si sono raccolti in una pagina Facebook, “Sahafi Rooftop Club”, aperta da Philp Davies, che allora lavorava per la BBC.

L’albergo si affaccia sulla piazza cosiddetta del 4° chilometro, non molto lontana dall’aeroporto, centro di un quartiere commerciale affollatissimo. Oltre che dai giornalisti occidentali, sempre più rari e sparuti, è frequentato dai politici e da quel che resta della società civile somala. Non è la prima volta che l’hotel viene preso di mira dai terroristi islamici.

Il 9 febbraio 2005 la producer della BBC Kate Peyton, che si trovava a Mogadiscio con il reporter Peter Greste, che qualche ora prima si era registrata alla reception, è stata uccisa con una fucilata alle spalle davanti al cancello d’ingresso. Qualche anno dopo un’inchiesta delle Nazioni Unite stabilì che a organizzare l’omicidio della giornalista fu Aden Hashi Aeru, un comandate islamico che mi fece rapire nel 2006 e che fa sua volta fu ammazzato da un drone americano il 1° maggio 2008, mentre stava dormendo nella sua casa di Dusamareb, nel centro della Somalia.

Il 14 luglio 2009 un commando che si era spacciato per guardie del ministero dell’Interno si è presentato alla reception del Sahafi e si è fatto indicare le stanze dove alloggiavano di consiglieri militari francesi incaricato dell’addestramento di soldati somali. I due sono stati poi consegnati agli shebab e ai miliziani dell’ Hizbul Islam. Uno degli ostaggi Marc Aubriere riuscì a scappare il 29 agosto successivo. Il secondo Denis Allex, rimase ucciso l’11 gennaio 2013, quando le teste di cuoio francesi cercarono di liberarlo con un’operazione fallita.

Massimo A. Alberizzi
massimo.alberizzi@gmail.com
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Nalla foto in alto i soccorsi ai feriti, in basso Ilaria Alpi e Massimo Alberizzi fotografati seduti fuori dall’Hotel Sahafi sotto quell’ala che oggi è andata quasi completamente distrutta 

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