Permessi di attracco nei porti, accordo Russia Guinea Equatoriale che tiene in carcere altri 3 italiani

Speciale per Africa Express
Andrea Spinelli Barrile
Potenza, 19 agosto 2015

Il 22 luglio scorso la Repubblica di Guinea Equatoriale e la Federazione Russa siglavano un accordo per facilitare l’ingresso di navi da guerra russe nel porto di Malabo. Il piccolo stato africano è il terzo Paese al mondo, dopo Vietnam e Nicaragua, a raggiungere un accordo con l’Orso russo sulla presenza di navi da guerra: il ministro della Difesa russo Shojgu aveva detto nel febbraio 2014 che la Russia intendeva pianificare l’espansione della propria presenza aerea e navale all’estero.

L’accordo tra i due Paesi è stato firmato in occasione della visita dell’ammiraglio Viktor Tchirkov, comandante dell’imponente marina russa, a Malabo: secondo molti esperti militari africani citati dal giornalista Fulvio Beltrami sul quotidiano indipendente L’Indro, l’accordo sarebbe il preludio alla realizzazione della prima base militare russa in Africa, in una posizione strategica nel bel mezzo del Golfo di Guinea.

Il porto di Malabo inoltre vanta le acque più profonde dell’Africa equatoriale, un dettaglio non di poco conto se consideriamo che i rumors parlano non solo di una base navale ma anche di una aerea per i bombardieri intercontinentali che verranno inviati da Mosca.

Quella di Mosca sembra una mossa tipica da Guerra Fredda e la posizione del regime di Malabo somiglia molto a quella che fu del muro di Berlino: Gazprom da tempo è coinvolta nella ricerca di giacimenti di gas, di cui la Guinea sarebbe piena, e questo non può non far gola al regime della famiglia Obiang, che con il dimezzamento del prezzo del petrolio ha visto abbassarsi enormemente le tangenti che spettano al regime e gli introiti per lo Stato.

Il piccolo Paese africano paga in tal senso l’assenza sul suo territorio di impianti di raffinazione degli idrocarburi, opere mai realizzate per via degli altissimi costi che il corrottissimo regime non ha mai voluto affrontare, preferendo sfruttare unicamente l’estrazione dagli enormi giacimenti petroliferi del Paese. Giacimenti che, tra l’altro, sarebbero in esaurimento, costringendo la cleptocrazia africana a trovare valide alternative per non tornare nel baratro degli anni pre-petroliferi.

L’accordo russo-guineano però ha anche un valore politico-militare: la base navale russa nel porto di Malabo si collocherebbe in una posizione strategica relativamente vicina al “protettorato” USA in Africa, la Liberia. Qui il Pentagono starebbe cercando di installare, da anni, il quartiere amministrativo per la Difesa AFRICOM: fino al 2007 erano in molti i Paesi africani a contendersi questo quartier generale (oggi ubicato a Stoccarda, in Germania), con Nigeria, Libia e Sudafrica unici paesi pubblicamente contrari ad ospitarlo sul proprio territorio. Etiopia e Liberia sembravano poter essere le destinazioni più naturali ma poi non se ne fece più nulla. Per questo motivo l’accordo tra equato-guineani, un tempo interlocutori privilegiati degli americani, e russi ha un valore geopolitico, economico e strategico non indifferente.

Sarà forse per questa debolezza militare ed economica americana in Africa occidentale che la questione dei diritti umani è sempre più presente nei gelidi rapporti tra Guinea Equatoriale e Stati Uniti? A pensar male, spesso, ci si azzecca: oltre al discorso kenyota di Obama contro i “presidenti a vita”, un chiarissimo riferimento alle dittature africane e in particolare a quella di Teodoro Obiang, la più longeva di tutte, il 7 agosto scorso l’ambasciatore americano a Malabo, Mark Asquino, rincarava la dose.

Rispondendo ad alcune durissime dichiarazioni del segretario generale del PDGE, unico partito politico presente attivamente in Guinea Equatoriale che fu fondato dal presidente Obiang, Jeronimo Osa Osa Ecoro, il quale aveva sostanzialmente invitato Obama a farsi i fatti propri perchè “i 36 anni di democrazia, sviluppo e libertà in Guinea Equatoriale” dimostrerebbero come un mandato presidenziale lungo conduca il Paese verso il progresso, Asquino pubblicava un comunicato stampa velenosissimo: “I limiti al mandato presidenziale sono fondamentali per la democrazia – scrive l’ambasciatore americano ricordando le parole di Obama e rilanciando l’esempio “per tutti i leader africani” di Nelson Mandela. – Secondo i sondaggi il 74 per cento degli africani […] non vuole che i loro presidenti governino per più di due mandati consecutivi. Il limite di mandato fornisce un meccanismo perfetto per il lavoro di leadership responsabili, riduce la tendenza alla corruzione […] permette alle nuove generazioni di competere per una carica politica o anche solo di scegliere i nuovi dirigenti.  […] L’84 per cento degli africani sostiene elezioni libere e giuste, il 77 rifiuta il governo di un solo partito e il 72 crede che la democrazia sia preferibile a qualsiasi altra forma di governo: questi sono numeri schiaccianti che riflettono l’opinione reale di milioni di persone. […] Un certo numero di elezioni presidenziali sono previste in Africa da qui alla fine del 2016 […] cambiare le Costituzioni eliminando i limiti al mandato presidenziale riduce la fiducia dei cittadini nelle istituzioni, indebolisce i governi e serve solo agli interessi della persona o del partito al potere.”

Asquino, pur senza mai nominare direttamente la famiglia Obiang, si prodiga in una dura reprimenda al regime guineano, parole infuocate alle quali ha risposto direttamente il dittatore Teodoro Obiang, qualche giorno dopo, nel corso di un discorso: “Ci accusano di essere corrotti, ma questa parola ‘corruzione’ non è una nostra parola: è loro! Qui in Africa in generale e in Guinea Equatoriale in particolare non conosciamo la parola ‘corruzione’: se siamo corrotti è colpa loro”.

Ne sa qualcosa Roberto Berardi, recentemente scarcerato dopo aver fatto emergere il machiavellico sistema di corruzione e riciclaggio del suo socio, il figlio del presidente Teodorin Nguema Obiang. E mentre il regime cerca nuovamente di lavarsi l’immagine internazionale i tre italiani Fabio e Filippo Galassi e Daniel Candio restano in prigione senza un motivo apparente e senza accuse formali. Sono sequestrati in carcere, nonostante le promesse e le leggi costituzionali di quel Paese, anche loro sembrano essere “prigionieri personali” di qualcuno. Appare questa come l’ennesima prova di forza del regime finto panafricanista, che cerca così di ingraziarsi un popolo sempre meno convinto, sempre più critico nei confronti del sistema di potere degli Obiang.

Propaganda utile a disinnescare l’effetto della pubblicazione della lista con i nomi degli oltre 300 oppositori politici morti ammazzati direttamente o indirettamente per mano del presidente Obiang, elenco che la coalizione di partiti di opposizione fa girare su internet ma che sembra non interessare a nessuno.

 

Andrea Spinelli Barrile
spinellibarrile@gmail.com
Skype: djthorandre
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@spinellibarrile

Nella seconda e terza foto il dittatore Teodoro Obiang e l’ambasciatore russo a Malabo Nikolay Ratsi Borinskty

maxalb

Corrispondente dall'Africa, dove ho visitato quasi tutti i Paesi

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