Altra scusa: Berardi ha espiato la pena ma resta in carcere in Guinea Equatoriale

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Speciale per Africa Express
Andrea Spinelli Barrile
Roma, 28 giugno 2015

Colpa del segretario del Tribunale di Bata, anzi del suo funerale, se Roberto Berardi, che doveva essere liberato oggi, resta ancora segregato nella sua putrida cella della Guinea Equatoriale. Ma lo sappiamo tutti benissimo: le esequie del poveretto (poveretto per così dire, visto che è lui ad aver negato la libertà all’imprenditore italiano) sono solo una scusa per tenerlo in galera.

Roberto Berardi è stato definito più volte “il prigioniero personale del Principe di Malabo”, Teodorin Obiang Nguema Mangue. Oggi quella definizione è più vera che mai: il tribunale di Bata ha violato le stesse leggi della Guinea Equatoriale e, utilizzando una scusa che suona come una presa in giro e uno schiaffo verso il detenuto, la sua famiglia e la stessa Italia, ha tenuto prigioniero il nostro connazionale, detenuto da 2 anni e mezzo. Nonostante abbia espiato la pena, Berardi non è stato liberato e ha visto nuovamente infrangersi contro le roventi sbarre di quell’inferno le speranze di riabbracciare la famiglia.

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Gli eventi, dunque, per l’ennesima volta, sono stati infausti: chi un po’ conosce l’Africa sa, o ha imparato, che le cose, soprattutto le coincidenze più assurde, non capitano per caso. E così questa mattina a Bata si è tenuto il funerale del segretario del Tribunale, la stessa persona che il 19 maggio scorso aveva negato la libertà a Berardi con un sorriso “rassicurante”. Alle esequie el funzionario stamattina sono accorsi tutti i giudici e i magistrati della città: il funerale, di fatto, ha paralizzato l’attività giudiziaria del Paese.

Non che questo sia un problema sotto una dittatura, dove i giudici rispondono direttamente al tiranno e al suo clan: molto probabilmente i magistrati non avevano alcuna premura né di liberare Berardi né di formalizzare un atto d’accusa nei confronti degli altri connazionali detenuti a Bata Central. Già perché nella minuscola colonia ex spagnola, ricchissima giacché galleggia sul petrolio, privati della libertà ci sono diversi italiani: Fabio Galassi, in galera dal 21 marzo, il figlio Filippo e Daniel Candio (entrambi 24enni), mentre ai domiciliari risultano esserci Fausto Candio (padre di Daniel) e Andrea. Tutti agli arresti o detenuti (chi da mesi, chi da settimane) senza uno straccio di accusa, senza nemmeno sapere il motivo per cui sono stati ristretti e privati dei passaporti.

Per Roberto Berardi la detenzione continua a tempo indeterminato: forse finirà domani, forse tra un mese, forse i suoi carcerieri attendono solo il pretesto giusto – uno scatto d’ira, un momento di disperazione profonda, una reazione all’ennesimo abuso – per fargli la pelle. Se nessuno può far niente di fronte alla morte ed ai funerali di qualcuno altrettanto vero è che la vicenda Berardi va avanti da troppo tempo: arrestato senza motivo, accusato in maniera calunniosa, detenuto in fermo di polizia oltre i termini, condannato senza prove ed ancora detenuto in condizioni inumane e degradanti per 2 anni e mezzo, subendo torture e trattamenti oltre l’umana sopportazione.

Una vicenda subita dallo stesso Berardi con dignità incredibile, una dignità quasi sfrontata che irrita non poco i suoi carcerieri. Poi il 19 maggio l’ennesimo abuso, il prolungamento della pena e oggi l’ennesima scusa: il risultato è che Berardi resta in cella, chiuso e privato della libertà senza motivo.

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L’ennesimo nulla, frutto del niente o quasi, fatto in questi anni da funzionari italiani, diplomatici europei, ministri vari. Persino il console spagnolo a Bata, che per le normative europee è colui il quale dovrebbe farsi carico delle sorti del detenuto italiano (ed europeo) Roberto Berardi, mantiene un vergognoso e assordante silenzio, senza ovviamente che da Roma nessuno alzi il telefono per protestare. Una diplomazia inesistente, quella europea, che mostra le sue vergogne per l’ennesima volta come se avesse scelto di non guardare, preferendo lanciarsi in inutili e lacunose analisi geopolitiche attorno al caso dei due fucilieri di marina arrestati in India.

Il “Se la sono andata a cercare” non basta più. Come se fosse mai bastata questa pilatesca espressione che tante volte le famiglie hanno letto sui giornali, nei loro commenti, ma anche si sono sentiti dire dai funzionari della Farnesina oltre che, cosa assai triste, dal nunzio apostolico Piero Pioppo che se ne è letteralmente “lavato le mani”. La politica morbida e l’approccio soffice verso la Guinea Equatoriale, il suo dittatore e il figlio del tiranno ha portato a un solo tragico risultato: Berardi, i Galassi, i Candio, sono tutti detenuti senza motivo.

Andrea Spinelli Barrile
spinellibarrile@gmail.com
Skype: djthorandre
twitter @spinellibarrile

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