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Il governo del Gambia vuole accogliere i rifugiati rohingya birmani

Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 29 maggio 2015

Il Gambia, il piccolo Stato dell’Africa occidentale, completamente circondato dal Senegal, tranne per il breve tratto di costa sull’Oceano Atlantico, ha dichiarato di voler accogliere i rohingya in campi per profughi.

Yahya Jammeh, il presidente dell’ex-colonia britannica, tramite un portavoce ha fatto sapere che è un dovere accogliere i musulmani perseguitati.

Un bel gesto di solidarietà, visto che la maggior parte dei Paesi si è rifiutato di ospitare le decine di migliaia di rohingya che errano da un porto all’altro ormai da mesi, in mano ai trafficanti di uomini. Sono di religione musulmana, senza patria e il governo di Myanmar (la vecchia Birmania) si rifiuta di riconoscerli come gruppo etnico.

In un comunicato il governo gambiano lancia un appello alla comunità internazionale, chiedendo di inviare tende, letti, utensili da cucina, medicinali, per poter allestire campi dove accogliere i profughi.

La popolazione gambiana è in maggioranza musulmana, come i rohingya, dunque da qui la disponibilità di accoglienza del governo. Un atteggiamento che risulta in netto contrasto con quella assunto sui migranti in fuga da dittature, guerre, fame nera. E si fugge dallo stesso Gambia: tra i morti nell’ultima tragedia in mare c’erano anche cittadini del Gambia.

Jammeh è salito al potere con un colpo di Stato nel 1994; due anni dopo è stato confermato presidente durante le elezioni grazie all’appoggio del suo partito, “Alleanza patriottica per il riorientamento e la costruzione”. Si è convertito all’Islam solo qualche anno fa.

Pur essendo stato eletto “democraticamente”, governa il Paese come un dittatore e non esita di eliminare e torturare gli avversari politici. Odia a morte gli omosessuali (http://www.africa-express.info/2014/09/09/gambia-ergastolo-per-gay-il-presidente-voleva-ucciderli-come-le-zanzare/)
e il parlamento ha varato leggi draconiane contro gay e lesbiche.

In Gambia il rispetto per i diritti umani è considerato un optional. Lo hanno confermato due ispettori dell’ONU Christof Heins (sudafricano, relatore speciale sulle esecuzioni extra-giudiziali, sommarie o arbitrarie) e Juan Mandes (statunitense, relatore speciale sulla tortura) in un loro rapporto di sei mesi fa.
I due si erano recati nel piccolo Stato dell’Africa occidentale per indagare su torture e esecuzioni di attivisti, giornalisti e oppositori politici, di uccisioni extragiuridiziarie;  le autorità hanno impedito loro di visitare il braccio della morte nelle terribili galere di Banjul, capitale del Gambia (http://www.africa-express.info/2014/11/09/violazione-dei-diritti-umani-il-gambia-lascia-casa-gli-ispettori-dellonu/)

Durante un viaggio all’estero del presidente, il 30 dicembre 2014 uomini armati hanno attaccato il palazzo presidenziale, tentando un colpo di Stato, ma sono stati respinti e sopraffatti dalle forze di sicurezza. Nei giorni a seguire, sono stati arrestati anche familiari e amici dei presunti responsabili del golpe. Da allora non si hanno più notizie di queste persone, i parenti non hanno più saputo nulla di loro, nessuna possibilità di entrare in contatto con i propri cari.  Sono come sparite dalla faccia della terra, desaparecidos.

In un rapporto del 15 marzo 2015, un inviato speciale per le torture dell’ONU ha dichiarato che cinquantadue persone sono state arrestate, per lo più da uomini non in divisa, collaboratori dell’intelligence del Paese.

Tra Febbraio e Maggio alcuni sono stati liberati. Non si sa con precisione quante persone si trovano ancora in mano agli aguzzini del presidente.

Anche il direttore per l’Africa di Human Rights Watch, Daniel Bekele, ha denunciato proprio pochi giorni fa che tra gli “scomparsi” c’è anche un ragazzo di sedici anni, Yusupha Lowe, figlio di Bai Lowe, uno dei presunti responsabili del golpe, che è riuscito a fuggire all’estero. In modo informale i parenti hanno saputo che il ragazzo è stato detenuto per qualche mese nella sede dei servizi segreti di Banjul, dove sia ora, nessuno lo sa. Stessa sorte è toccata alle madri anziane di altri due presunti partecipanti al tentato colpo di Stato, Alhaji Jaja Nass e Lamin Sanneh (un ufficiale dell’esercito gambiano), entrambi uccisi durante l’assalto. Dal 5 gennaio 2015, giorno dell’arresto delle due signore, non si hanno più loro notizie. Nella stessa situazione si trovano altre decine di persone.

Nel marzo scorso un tribunale militare segreto ha condannato alla pena capitale tre soldati e tre altri all’ergastolo, accusati di alto tradimento, cospirazione, dissertazione, in relazione alla loro partecipazione al tentato golpe.

Jammeh aveva annunciato a gennaio che il suo governo sarebbe stato disposto a collaborare con l’ONU per far luce sugli eventi del 30 dicembre 2014. e  l’African Commission on Human and Peoples’ Rights ha emesso una risoluzione il 28 febbraio scorso, nella quale si chiede vivamente di aprire un’inchiesta.

Ebbene, nessuna inchiesta è stata aperta, alcuna collaborazione con l’ONU e ora il presidente vorrebbe addirittura accogliere i profughi rohingya.  Per il presidente  la cosa è molto semplice: “Se l’Europa è in grado di accogliere dei rifugiati, lo può fare anche il Gambia”.

Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes

 

maxalb

Corrispondente dall'Africa, dove ho visitato quasi tutti i Paesi

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