Nigeria: sabato il voto, la benzina scarseggia, si teme il caos e il ritorno dei militari

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Speciale per Africa ExPress
Blessing Akele
Benin City, 26 Marzo 2015

Totale incertezza sull’esito delle elezioni presidenziali di sabato prossimo. O sul non-esito, cioè sulle conseguenze che il risultato delle elezioni porterà con sé. Il timore è che il presidente uscente Goodluck Jonathan, se il risultato non gli sarà ragione, possa mettere in atto qualche azione di forza.

Nei Paesi occidentali entro il mezzanotte o comunque, il giorno dopo, si conosce con certezza qual è il vincitore e con che percentuale ha vinto. In Nigeria, neanche per idea. Si parla di tre settimane. Senza bisogno di avere una particolare intelligenza, è chiaro che in quelle tre settimane si tenterà di raggiungere un accordo sulla spartizione del “national cake”, cioè della torta nazionale (i proventi del petrolio). Se non un’intesa non sarà possibile, c’è il rischio che si riaprano pagine tragiche per il Paese: l’oppressione, l’anarchia, maggiori  sofferenze e fame per la popolazione inerme. La situazione è quindi assai critica.

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In questi giorni stanno accadendo alcune cose che possono servire a comprendere meglio lo scenario che potrebbe aprirsi il 28 marzo 2015, il giorno delle elezioni. Più o meno da tre settimane scarseggia la benzina nelle maggiori città del Paese, tra cui Port Harcourt, Kano, Lagos, Benin City, e persino Abuja. La presidenza ha gridato al sabotaggio, accusando direttamente i petrolieri che, a suo dire, avrebbero limitato l’approvvigionamento proprio nel periodo della campagna elettorale nel tentativo di mettere Jonathan in difficoltà e per screditarlo di fronte alla popolazione che andrà a votare. I petrolieri hanno rimandato l’accusa al mittente.

Il 24 marzo, la presidenza, per discutere la situazione, convoca una riunione ad Aso Rock. L’intenzione è quella di derimere la controversia. Presenti tutti: il governatore della Banca Centrale, Godwin Emefiele, il Ministro dell’Economia e Finanze, Ngozi Okonjo-Iweala, il presidente dell’NNPC (Nigerian National Petroleum Corporation, la compagnia petrolifera statale),  i segretari dell’associazione dei mega petrolieri, e quello dei petrolieri indipendenti, il rappresentante di gestori dei depositi e quello dei commercianti dei prodotti petroliferi, nonché tutti gli amministratori delegati e presidenti delle maggiori banche.

Conclusa la riunione si scopre che la colpa della penuria di carburante è del governo: non ha adempiuto agli obblighi finanziari, ossia non ha ancora completamente corrisposto  agli importatori di benzina e affini l’ammontare del sussidio dovuto per il primo trimestre del 2015. Centinaia di migliaia di dollari americani.

Il ministro Okonjo-Iweala ammette lo stato debitorio e promette di saldare al più presto il debito e nei prossimi mesi di ottemperare agli obblighi nei tempi stabiliti.  I dirigenti bancari a loro volta assicurano che solleciteranno la Banca Centrale a rendere disponibile immediatamente circa cinquecento milioni di dollari in lettere di credito

E’ possibile che il Presidente Jonathan non sapesse nulla? Può essere altrimenti non si comprenderebbe l’accusa di sabotaggio indirizzata inizialmente ai petrolieri. L’amministrazione nigeriana è così una confusione totale dove spesso la mano destra non sa cosa fa la sinistra.

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Infatti, dalle informazioni raccolte, risulta che il Dipartimento delle Risorse Petrolifere (Agenzia dell’ NNPC), non è in grado, per sua stessa ammissione, di indicare il livello del greggio estratto e disponibile attualmente nel Paese. Cioè, come ormai si usa dire in Italia dove i ministri ricevono in dono una casa senza sapere chi è l’autore del regalo: la Nigeria produce greggio ma non lo sa.

La raffinazione del petrolio prodotto in Nigeria avviene all’estero oltreoceano e il governo ricompra il prodotto finito a caro prezzo (sussidiato).  L’amministrazione Jonathan ha promesso da anni (anche il governo di Obasanjo a suo tempo, ha promesso) di mettere mano alla ristrutturazione delle tre raffinerie esistenti nel Paese. Gli impianti sono obsoleti, inaffidabili e sono decenni che NNPC ripara e rappezza con materiali scadenti comprati a costi esorbitanti dagli spietati burocrati della compagnia petrolifera e dei Ministeri interessati, dietro i quali agiscono politici corrotti e spregiudicati.

In queste condizioni lo Stato rischia una seria e devastante crisi petrolifera qualora non si realizzi nei prossimi sedici–diciotto mesi (al massimo entro l’aprile 2016) quanto promesso dal governo federale, e cioè la messa in piena operatività delle tre raffinerie presenti nel Paese, rispettivamente a Warri, a Port Harcourt e a Kano. Occorre tener ben presente che, la riserva strategica petrolifera del Paese, potrà rispondere al fabbisogno nazionale solo per un mese, trenta giorni circa.

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Non male, per un Paese che è l’ottavo produttore di greggio al mondo. Non solo: la Repubblica Federale Nigeriana quest’anno presiede l’OPEC, attraverso il ministro per il Petrolio Deziani Madueke. La situazione per il colosso dell’Africa occidentale è grave, molto grave, sull’orlo di un nuovo precipizio.

Si usa dire: al peggio non c’è mai fine. Sicuramente per la Nigeria questo adagio è calzante. E infatti emerge un altro particolare inquietante che riguarda Olusegun Obasanjo, l’ex presidente civile (1999-2007), ma qualche anno prima anche lui generale dittatore, ora sostenitore di Goodluck Jonathan, giacché militano nello stesso partito, il PDP,  People’s Democratic Party

Nell’occasione del ricevimento qualche giorno fa della consorte di Buhari, candidato contro Goodluck Jonathan nella corsa alla presidenza, Obasanjo ha raccontato che l’amministrazione è pronta a consegnare il potere ai militari nel caso di sconfitta elettorale. La notizia si è sommata a una voce che circola da giorni: il presidente dell’INEC (la Commissione elettorale), Attahiru Jega, tifa Mohammud Buhari al quale vorrebbe consegnare lo scettro del potere.

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E’ chiaro che una vittoria con i brogli (veri o presunti) di Buhari non garberebbe affatto a Jonathan. Se veramente in uno scenario del genere il presidente decidesse di consegnare il potere ai militari, sarebbe una catastrofe. Occorre sperare che questa sia solo un’ipotesi di fantapolitica e che Jonathan non intenda azzerare tutti gli sforzi compiuti negli ultimi 16 anni di sfida democratica in Nigeria solo perché ha perso le elezioni. Obasanjo teme l’imbarbarimento della situazione e che Jonathan possa comportarsi come Laurent Gbagbo in Costa d’Avorio: perse le elezioni presidenziali scatenò la violenza. La Nigeria sta entrando in un tunnel, speriamo ne esca in fretta perché in questo momento non si vede nessuna via d’uscita.

Per il ruolo preminente che occupa all’interno dell’area regionale sub-sahariana, la Nigeria dovrebbe ergersi a modello di buon governo democratico per altri Paesi Africani. Invece no. Continua a perseguire la sistematica distruzione del fragile tessuto civile e sociale del Paese.

Per garantire la tranquillità e il buon esito della tornata elettorale, ieri per ordine del governo sono stati chiuse le frontiere: porti, aeroporti e posti di confine sulle strade. Boko Haram fa ancora paura e ci si aspetta qualche azione dimostrativa. Dichiarato lo stato si massima allerta per offrire un minimo di sicurezza ai cittadini che andranno al voto. Militari e polizia sono dispiegati a presidio di tutte le città maggiori e non.

Blessing Akele
blessing.akele@yahoo.com
twitter @BlessingAkele
#BringBackOursGirls

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