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In Svizzera è illegale la tassa del due per cento che gli eritrei pagano alla loro ambasciata

Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 19 dicembre 2014

Il regime di Asmara, attraverso le sue rappresentanze diplomatiche all’estero, chiede ai cittadini eritrei, sia che vivano all’estero, sia che siano profughi emigrati regolarmente, il due per cento sulle loro entrate. Il consolato eritreo a Ginevra in Svizzera non fa eccezione. Di questo argomento si è occupato qualche giorno fa la Neue Zuericher Zeitung,  NZZ, il più autorevole quotidiano svizzero in lingua tedesca.

Il consolato dell’ex colonia italiana è ubicato in un quartiere anonimo di Ginevra, tra l’aeroporto e la stazione ferroviaria. In quel piccolo appartamento, di appena tre stanze, la dittatura di Isaias Afewerki è ben presente, esercita tutto il suo potere. Chi non vuole pagare, viene minacciato di ritorsioni e/o , ricattato.

L’ONU si è pronunciata più volte contro questa tassa del due percento e il Consiglio di Sicurezza con la risoluzione 2023 del 5 dicembre 2011 con 13 voti a favore e due astensioni (Cina e Russia) ha  “deciso che l’Eritrea deve smettere di usare estorsioni, minacce di violenza, frode e altri mezzi illeciti di riscuotere le tasse di fuori dell’Eritrea dai suoi cittadini o altri soggetti di origine eritrea”.  La risoluzione si è resa necessaria perché l’ONU teme fortemente che questa tassa possa essere utilizzata per finanziare, almeno in parte gruppi terroristici come al shebab.

Il quotidiano svizzero sottolinea inoltre che  il novanta per cento degli eritrei residenti in Svizzera gode di un sussidio sociale ed in questo modo del denaro elvetico, grazie alla famosa tassa, confluisce nelle mani del dittatore che a sua volta potrebbe “devolverlo” ad organizzazioni terroristiche.

Nella Confederazione Elvetica vivono all’incirca 20.000 eritrei, la maggior parte di loro sono rifugiati politici. Difficilmente parlano apertamente della tassa che viene loro estorta quando si recano nel loro consolato per rinnovare documenti o altro. La rappresentanza diplomatica si avvale anche di veri e propri “agenti cassieri” che riscuotono tale tassa illecita un po’ ovunque nel territorio svizzero.

Da alcuni documenti si evince che il console eritreo di Ginevra fa pervenire le somme incassate al regime tramite la UBS di Zurigo. Prassi assai inusuale, sempre secondo il quotidiano NZZ, visto e considerato che tutti i fondi eritrei sono stati bloccati in Svizzera per disposizione del Consiglio Federale elvetico nel 2010.

La scure del regime di Asmara non si ferma qui: i funzionari del consolato costringono i rifugiati a firmare una “Letter of regret” nella quale confessano di non aver terminato il servizio militare obbligatorio in patria, di aver commesso un grave reato, per il quale in Eritrea è prevista una pena carceraria da 2 a 5 anni. Ma, si sa, in quelle galere violenze e torture sono all’ordine del giorno, spesso non si esce vivi.

Un testimone che vuole mantenere l’anonimato riferisce al giornalista del NZZ: “Credo che 3000 eritrei su 20.000 paghino la tassa; chi spontaneamente, chi sotto pressione, altri perché necessitano di documenti importanti per sé o i propri cari rimasti in patria”.

Per ultimo, il consolato eritreo a Ginevra “organizza” vere e proprie vacanze in patria per i residenti in Svizzera.  Ma un profugo, per l’art. 63 della legge elvetica sugli stranieri, non può ritornare nel Paese dal quale è fuggito, altrimenti perde lo status di profugo. I diplomatici del piccolo Paese africano, dunque, consigliano ai connazionali desiderosi di abbracciare i familiari rimasti a casa, di prendere un volo per l’Italia, l’Egitto o il Sudan.  Tramite la rappresentanza diplomatica del regime di Asmara, presente in questi tre Stati, possono ricevere un nuovo e intonso passaporto eritreo, che gli permette di continuare il viaggio, senza che sul documento originale figuri alcun visto o timbro d’entrata in Eritrea.

Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
twitter: @cotoelgyes
(1 – continua)

 

maxalb

Corrispondente dall'Africa, dove ho visitato quasi tutti i Paesi

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