Il mistero dei 4 gipponi che spaventano Kampala

Nostro Servizio Particolare
Ernesto Clausi
Nairobi, 9 giugno 2014
La polizia ugandese è alla ricerca di quattro gipponi che la scorsa settimana hanno varcato il confine tra Kenya e Uganda, passando attraverso Busia, nei pressi del Lago Vittoria. Un confine poroso, facilmente attraversabile, al pari di quelli con la Somalia e l’Etiopia, a causa della corruzione dilagante e dello scarso controllo delle frontiere.

All’ingresso nel territorio ugandese dei quattro land-cruiser ha fatto seguito il lancio di un high-alert warning  per minaccia terroristica da parte delle forze di sicurezza. Il portavoce della polizia, Fred Enanga, ha dichiarato che il passaggio sarebbe avvenuto lunedì scorso, di notte, e di non avere ulteriori elementi sulla destinazione dei veicoli. Nelle stesse ore, peraltro, otto somali (incluso un bambino) hanno tentato di raggiungere l’Uganda attraverso Busia, ma sono stati fermati e tenuti in custodia dalla polizia di frontiera in attesa di accertamenti.

L’elemento anomalo emerge però dalle targhe dei veicoli: GKA 138H, GKA 24A, UN 105K, UN 105KP. Si tratta cioè di due auto del governo keniota (GK sta per Government of Kenya) e di due appartenenti al parco autoveicoli delle Nazioni Unite (UN)

Un episodio strano, che ricorda ciò che è accaduto a Lamu, al confine tra Somalia e Kenya, in Aprile.  In quell’occasione una donna bianca ha noleggiato una Toyota Land Cruiser targata KAV599E per una settimana. Scortata da due poliziotti avrebbe tentato di varcare il confine e raggiungere Ras Kamboni, un villaggio a pochi chilometri in territorio somali, presumibilmente per collocarvi un ordigno.

Si è avanzata l’ipotesi che quella donna potesse essere Samantha Lewthwaite, la “vedova bianca”, moglie di Germaine Lindsay (uno dei quattro terroristi suicidi coinvolti negli attacchi di Londra del sette luglio 2005) e su cui pende un mandato di cattura internazionale emesso dall’Interpol. La stessa auto è stata utilizzata a fine maggio per l’uccisione di due soldati del Kenya Defence Force.

E’ lecito formulare dunque diverse teorie.

Il timore è che il fondamentalismo islamico possa nuovamente colpire Kampala, come è già successo nel 2010, quando furono colpiti due locali mentre gli avventori seguivano la finale dei mondiali di calcio. Il bilancio fu devastante: settantaquattro morti.

L’Uganda fornisce truppe alla missione Amisom in Somalia, e ciò rende il Paese (sostanzialmente la capitale Kampala) soggetto al rischio di attacchi terroristici di rappresaglia da parte degli shebab, gli integralisti somali.

A ottobre c’era stato un red alert dei servizi di sicurezza americani sul rischio di nuovi attacchi nel Paese. L’Uganda resta, come il Kenya, un partner importante per il contrasto al terrorismo internazionale in Africa Orientale.

E il warning arriva in un momento in cui il confinante Kenya ha intensificato le operazioni di controterrorismo in seguito ai recenti attentati a Nairobi (le esplosioni lungo la highway per Thika e quelle al popolare e frequentatissimo mercato di Gikomba). Secondo i quotidiani di qui è probabile che nuovi attacchi saranno sferrati nella regione dai fondamentalisti islamici. Tre settimane fa cinquecento turisti britannici sono stati evacuati dalla costa kenyota, e i due maggiori tour operator britannici hanno sospeso i voli da Londra per Mombasa. La fascia costiera lungo l’Oceano Indiano sta vivendo una fase di radicalizzazione islamica, che trova terreno fertile nella popolazione più povera e disoccupata, soprattutto quella più giovane.

Tuttavia, secondo fonti dei servizi di sicurezza, la notizia del passaggio delle quattro vetture potrebbe essere stata rilanciata esclusivamente per “seminare il panico” tra le autorità ugandesi e cercare un maggiore coinvolgimento di Kampala nel contrasto al terrorismo.

Inoltre, nell’ultimo National Intelligence Report proveniente da Washington, l’Uganda è presentato come Paese a rischio di “violenta instabilità”. Ciò ha causato peraltro le rimostranze dell’amministrazione Museveni. Certo l’Uganda attraversa una fase politica delicata, con una governance debole e sempre più contestata, anche a causa delle recenti leggi introdotte nel Paese. Tra queste quella che prevede pene fino all’ergastolo per gli omosessuali e quelle anti pornografia che proibisce anche l’uso della minigonna.

Misure che non son piaciute a Washington e riportano alla mente i tempi del dittatore Idi Amin. Da più parti si levano accuse al Presidente di avere tendenze autoritarie. Museveni deve fare fronte anche alle critiche di nepotismo rivoltegli e causate dalla rapida ascesa ai vertici di Kampala del figlio, Muhoozi Kainerugaba.

Pertanto, in un momento in cui cresce il malcontento della popolazione verso l’attuale amministrazione (vedi proteste dello scorso anno a Kampala, represse dalle forze di sicurezza), focalizzare l’attenzione sulla minaccia terroristica potrebbe fare comodo allo stesso estabilishment di Museveni.

Le truppe ugandesi non sono impegnate solo in Somalia. Hanno lasciato il Congo-K da poco e ora sono in Sud Sudan, contro i ribelli dell’ex vicepresidente Rieck Machar, e nella Repubblica Centrafricana a combattere Joseph Kony e il suo Lord Resistance Armi (LRA).

Museveni ha di recente alzato il tiro su LRA per giustificare le spese militari e rafforzare il suo potere puntando sul mantenimento dell’ordine interno e sulla minaccia terroristica. L’incremento del budget militare torna utile per proteggere il bacino del lago Alberto (che segna il confine con la Repubblica Democratica del Congo), dove dal 2005 sono state scoperte riserve petrolifere ed esplorazioni sono ancora in corso. L’avvio della produzione dovrebbe avvenire in concomitanza delle prossime elezioni.

Ernesto Clausi
e.clausi@hotmail.it

 

maxalb

Corrispondente dall'Africa, dove ho visitato quasi tutti i Paesi

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