Il Sud Sudan muore di fame e non ci sono soldi per aiutarlo

Nostro Servizio Particolare
Cornelia I. Toelgyes
16 maggio 2014
Pochi giorni fa è stato firmato il secondo trattato di pace ad Addis Ababa, capitale dell’Etiopia, tra Salva Kiir, presidente del Sud Sudan e Riek Machar, ex-vicepresidente. L’inchiostro non si era ancora asciugato che sono ripresi i combattimenti tra le due fazioni che vedono i dinka (fedeli al presidente) da una parte e i nuer (etnia che appoggia l’ex-vicepresidente) dall’altra.  Anche questo “cessate il fuoco” non ha retto. Il secondo in cinque mesi.

Eppure Ban-Ki Moon , segretario generale dell’ONU, è stato chiaro ed esplicito nel suo ammonimento: ”Se i combattimenti, le violenze non cesseranno immediatamente, entro la fine dell’anno la metà dei dodici milioni di abitanti del Sud-Sudan dovrà lasciare la propria abitazione, abbandonare tutto e fuggire nei campi per gli sfollati o all’estero, ammesso che ce la faranno perché potrebbero morire durante il tragitto”.

Attualmente quasi un terzo dell’intera popolazione del Sud Sudan, vale a dire tremilionisettecentomila, persone ha bisogno di aiuti umanitari urgenti. Vive in uno stato di totale precarietà e soffre la fame. Secondo una stima dell’ONU, nello Stato Unity, dove si trovano i giacimenti petroliferi, tre quarti della gente si trova in questa condizione. E’ allo stremo.

La crisi è cominciata nel dicembre del 2013 per rivalità e conflitti personali tra il Kiir e Machar, poi sfociati in una vera e propria guerra tra le due etnie, i dinka e i nuer, che ora sta prendendo i connotati di genocidio.

In un comunicato rilasciato pochi giorni fa, il direttore esecutivo di OXFAM (acronimo inglese per Oxford Committee for Famine Relief), Mark Goldring, ha scritto: “Se non si agisce subito, milioni di persone pagheranno il prezzo per questa infame guerra. Abbiamo organizzato e messo in moto una task-force senza precedenti per distribuire cibo alla popolazione prima che inizi il periodo delle piogge, durante il quale sarà impossibile raggiungere certe aeree. Abbiamo bisogno di massici interventi per aiutare la popolazione, che rischia di morire di fame. Non possiamo permetterci di arrivare in ritardo, non possiamo permetterci di sbagliare”.

Purtroppo i soldi sono pochi. La raccolta di denaro indetta dall’ONU non ha raggiunto l’obbiettivo prefissato ma solo il quaranta percento del fabbisogno. Mancano all’appello settecento milioni di dollari per poter sfamare ed assistere adeguatamente tutta la popolazione.

Se la vita in Sud-Sudan, la nazione più giovane del globo, è difficile per un adulto, figuriamoci cosa è per un bambino, scrive al Africa ExPress Kiros Aregawi, coordinatore di SOS Villaggi dei Bambini in Sud Sudan. Poi precisa: “A Malakal è stato atroce; abbiamo dovuto trasferire i bambini  a Juba, la capitale del Sud-Sudan, dove sono arrivati disidratati, dimagriti, ammalati, impauriti, per le violenze alle quali hanno dovuto assistere.

Qui abbiamo trovato una nuova casa, si sentono più tranquilli, hanno ripreso ad andare a scuola”. Nyabiel, operatrice di SOS, aggiunge, “Pensavamo di essere al sicuro nella casa di Malakal, finchè non sono entrati i ribelli e, di fronte ai bambini, mi hanno puntato il fucile addosso, chiedendo soldi e cellulari. I piccoli erano terrorizzati, piangevano in silenzio”.

E con la fame arriva anche il colera. Il 15 maggio, in un comunicato il ministro alla salute del Sud Sudan, Riek Gain. conferma che un’epidemia della malattia ha colpito Juba.  Per ora, sempre secondo il ministro, i casi sospetti sono diciotto e un morto.Altre fonti attendibili parlano di oltre 40 attaccati dal virus e due decessi.

Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
twitter: @cotoelgyes

 

maxalb

Corrispondente dall'Africa, dove ho visitato quasi tutti i Paesi

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