Nostro Servizio Particolare
Cornelia I. Toelgyes
5 maggio 2014
Un’altra bomba, altri morti ad Abuja, capitale della Nigeria. E’ successo giovedì, 1° maggio, nella periferia della capitale, vicino ad un check-point della polizia, poco distante dall’altra esplosione, avvenuta solo due settimane prima. Charles Ogueke, una persona che si trovava nelle vicinanze al momento dell’esplosione, racconta alla BBC: “La bomba è stata piazzata in un’auto. Non appena è stata parcheggiata, è uscito un uomo, che si è allontanato velocemente. Subito dopo l’esplosione. Ormai abbiamo tutti paura qui. E’ pieno di poliziotti, ma non sono stati capaci ad evitare l’ennesimo attacco alla nostra sicurezza. I morti sono diciannove, i feriti sessanta”.
L’unica risposta che Goodluck Jonathan ha saputo dare a questo ennesimo attacco, che finora non è stato rivendicato da alcun gruppo, è quella di ordinare la chiusura delle scuole e degli uffici pubblici non strettamente indispensabili nella capitale, durante la conferenza internazionale “World Economic Forum on Africa”, che si terrà ad Abuja dal 7 al 9 maggio 2014. Saranno presenti leader internazionali ed africani, personalità della finanza e dell’economia mondiale, Li Keqinag, presidente della Cina, sarà l’ospite d’onore.
Un giorno prima dell’esplosione della bomba, cioè il 30 aprile, molte madri, parenti e amici delle ragazze rapite in una scuola di Chibok, nello Stato del Borno, nel nord-est del Paese da un gruppo di uomini armati, si sono radunate davanti al palazzo dell’Assemblea nazionale per consegnare una lettera di protesta al governo nigeriano. Le donne, tutte vestite di rosso, hanno pianto disperatamente e hanno urlato il loro disappunto contro il governo e contro il presidente Jonathan. Secondo loro, le autorità non hanno fatto abbastanza per ritrovare le loro figlie, le loro nipoti.
Lo stesso giorno venti senatori hanno chiesto un incontro urgente con il presidente Jonathan. Si sa che la riunione ha avuto luogo la notte stessa, ma non sono trapelati particolari.
Le studentesse sono state rapite la notte tra il 14 ed il 15 aprile 2014 e solo il 2 maggio 2014, vale a dire oltre due settimane dopo la loro scomparsa, la polizia dello Stato del Borno, tramite il commissario Tanko Lawan, ha chiesto ai genitori di consegnare le fotografie delle ragazze. Ha anche precisato di aver chiesto alla preside della scuola di stilare una lista esatta di quelle che erano presenti al momento dell’attacco, lavoro non semplice, in quanto, per sostenere l’esame di fine corso, si sono presentate anche ragazze di altre scuole della zona, perché Chibok era ritenuta una cittadina tranquilla e non era mai stata presa d’assalto dai Boko Haram. Il numero delle studentesse rapite sembra sia salito a duecentosettantaquattro.
Il governo degli Stati Uniti, tramite la portavoce del Dipartimento di Stato, Marie Harf, ha reso noto di aver contattato il governo nigeriano per offrire il proprio aiuto per il ritrovamento delle ragazze. La Harf non specificato che tipo di aiuto sia stato offerto. Ricordiamo che nel 2012 gli USA hanno speso venti milioni di dollari in assistenza per la sicurezza per la Nigeria; in parte è stato investito nell’addestramento dei militari per prevenire attacchi da parte di terroristi e altro.
Wole Soyinka, Premio Nobel 1986 per la letteratura, ha chiesto ai dirigenti del suo Paese di lasciar da parte l’orgoglio e di ammettere che la Nigeria è “in guerra. E’ indispensabile che si faccia aiutare dalla comunità internazionale, affinché i genitori possano riabbracciare le loro figlie rapite”.
Tutte le donne sono accanto alle madri di Chibok. Forse il presidente Jonathan dovrebbe tenere presente che è bene non sottovalutare mai le lacrime delle madri.
Cornelia I. Toelgyes
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