Gibuti, forse sbloccata la situazione dei profughi eritrei detenuti

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Cornelia I. Toelgyes
27 marzo 2014
Sono ancora 267 gli eritrei richiedenti asilo detenuti come prigionieri a Nagad, a Gibuti. Alcuni si trovano in questa galera da oltre sei anni.  Diverse organizzazioni per diritti umani hanno sollevato il loro problema negli ultimi mesi e anche africa-express ha parlato di loro in alcuni articoli.

Elsa Chyrum, presidente dell’organizzazione Human Rights Concern Eritrea, con sede a Londra, è passata ai fatti. Si è recata a Ginevra e davanti alla missione di Gibuti, accreditata all’ONU ha iniziato uno sciopero della fame. Africa ExPress è in costante contatto telefonico con Elsa, che ieri sera ci ha comunicato: “Ho interrotto lo sciopero della fame proprio pochi minuti fa. Ho raggiunto il mio scopo. Finalmente le organizzazioni internazionali hanno deciso di affrontare il problema dei rifugiati eritrei detenuti a Gibuti. Dialoghi sono stati avviati con l’UNHCR, l’Unione Europea, diverse delegazioni africane e europee accreditate all’ONU a Ginevra e ho già avuto un primo colloquio con il capo della missione di Gibuti”.

Elsa ha dimostrato un grande coraggio e Africa ExPress continuerà a seguire questo dramma che fino a qualche giorno fa sembrava senza via d’uscita.

Ieri sera abbiamo ricevuto una mail da uno dei detenuti di Nagad. Ci scrive che qualche settimana fa un ragazzo eritreo di soli vent’anni è stato seppellito a Gibuti. Dove non è dato di sapere. Prigioniero anche da morto: il governo di Gibuti si era rifiutato di consegnare la salma al papà, venuto dall’Etiopia, dove vive come rifugiato. Ed è solo di pochi giorni fa l’assurda richiesta del  governo  di Gibuti fatta ai profughi: quella di accollarsi le spese del funerale, che sono state pagate infine,dopo lunghe trattative, dall’UNHCR.

La prigione di Nagad si trova in un centro di addestramento della polizia.  Alcuni detenuti hanno scritto ads Africxa ExPress: “Il cibo è poco, di pessima qualità. Siamo tutti deperiti. Sono in molti ad essere ammalati. Soffriamo spesso di attacchi di malaria, che qui è endemica, di dissenteria, molti si trovano in uno stato di depressione grave, altri sono affetti da malattie mentali. Le cure mediche sono inadeguate e insufficienti. E’ già molto se riceviamo una pastiglia di clorochina, anzi, credo che sia l’unico medicinale disponibile nell’infermeria.  Se andiamo avanti di questo passo, presto o tardi moriremo tutti. Non ce la facciamo più. Aiutateci!”

Forse, grazie ad Elsa, ora il mondo ha colto questo urlo di dolore contro l’ingiustizia.

Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
twitter @cotoelgye

maxalb

Corrispondente dall'Africa, dove ho visitato quasi tutti i Paesi

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