In una foto la speranza dei migranti

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Cornelia I. Toelgyes
17 febbraio 2014
Il foto-giornalista John Stanmeyer si è aggiudicato il primo premio della “World Press Photo 2014” per le sue immagini di migranti vicino a Gibuti mentre sotto il cielo notturno, rischiarato dalla luna, cercano di prendere un segnale telefonico dalla vicina Somalia.

stanmeyer-wpp-650x0Gibuti è uno Stato dell’Africa Orientale, posta all’estremità meridionale del Mar Rosso, presso lo stretto di Bab el-Mandeb ed è situata nel Corno d’Africa. Gibuti confina con l’Eritrea a nord, l’Etiopia ad ovest e a sud, con il Somaliland a sud-est. Il resto dei confini è bagnato dal Mar Rosso e dal Golfo di Aden. LoYemen, nella penisola araba, è a soli 20 km dalla costa del Gibuti. Africa ExPress ha parlato di questo piccolo stato diverse volte recentemente. Nel centro di detenzione Negad si trovano oltre 200 richiedenti asilo eritrei; alcuni aspettano da oltre sei anni il riconoscimento del loro status.

Nel suo discorso di ringraziamento dopo la consegna dell’onorificenza, Stanmeyer si è espresso così: -Ho scattato le foto per la rivista “National Gographic USA” ed è un grande onore per me aver vinto questo prestigioso premio istituito nel  lontano 1955. Questa foto ci “connette” tutti.  Sono persone che cercano di chiamare i loro cari. Potresti essere tu, potrei essere io, potrebbe essere chiunque”.

Un membro della giuria, Jillian Edelstein, ha voluto sottolineare che la foto ingloba:  “tecnologia, globalizzazione  povertà, disperazione, immigrazione, alienazione, umanità”.Mentre un altro membro, Susan Linfield,  ha assegnato il suo voto alla fotografia di  Stanmeyer con questa menzione: “Spesso le foto che mostrano migranti sono patetiche, denigranti. Questa invece, ridà loro dignità”.Questa fotografia è davvero speciale, emozionante: esalta la dignità della persona che così spesso – nel caso dei migranti – calpestata. Mentre si è alla ricerca di una nuova vita, della libertà, lungo il .cammino si incontrano pericoli e avversità di ogni genere. Sovente si devono affrontare sofferenze inimmaginabili; giornalisti e reporter le traducono spesso  con poca delicatezza in parole, immagini. Ma si sa, un profugo non ha scelta. Non sceglie di diventare un rifugiato, figuriamoci se ha la facoltà di scegliere la fotografia che verrà inserita in un servizio giornalistico.Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
twitter @cotoelgyes

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