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Massacri, stupri, villaggi bruciati: nella Repubblica Centrafricana da marzo si continua a morire

Nostro Servizio Particolare
Cornelia I. Toelgyes
7 gennaio 2014
Ci sono Paesi che non trovano mai la pace. Uno di questi è la Repubblica Centrafricana. Ricordate il sanguinario Jean-Baptiste de Lasalle (detto più semplicemente Jean Bedel) Bokassa, anzi meglio sua maestà Bokessa I, imperatore della francofonia? Quello che si dice fosse antropofago? Ebbene governava qui.

Oggi nella Repubblica Centrafricana infuria la guerra civile. I morti sono migliaia e gli sfollati sono più di novecentomila, secondo fonti dell’ONU. La notizia è stata battuta dalle agenzie in questi primissimi giorni del 2014 e le cifre fornite certamente aumenteranno ancora. Ma come si è arrivati a tutto questo?

Il 24 marzo 2013 Michel Djotodia si autoproclama presidente della Repubblica, portato al potere dal gruppo Seleka (che nella lingua Sango, una delle due ufficiali del paese, oltre al francese, significa “unione”, “alleanza”) di cui è uno dei leader. I militanti Seleka erano partiti con l’idea di far rispettare le intese di pace del 2007, conosciute come l’accordo di Libreville, che prevedevano l’integrazione dei ribelli nelle forze armate; una misura simile a quella usata nella Repubblica Democratica del Congo. In più, i Seleka chiedevano la liberazione di tutti i prigionieri politici. Quel giorno di marzo l’ex-presidente Françoise Bozizé, che non aveva rispettato i patti, è costretto alla fuga e lascia il paese.

Negli ultimi mesi, anche prima che Michel Djodotia prendesse il potere, c’erano state spaccature nel gruppo Seleka: scontri di potere, a seconda dei diversi interessi, e lotta per leadership. Proprio il 24 marzo 2013 Nelson n’Jadder, appartenente ad un’altra fazione del movimento, aveva proclamato: “Non riconosco Michel Djotodia come presidente della Repubblica Centrafricana”.

Chi sono i Seleka? La maggior parte dei suoi membri sono musulmani. Si avvalgono anche di mercenari provenienti da Ciad, Nigeria e Sudan, promettendo loro ricompense in natura: oro e diamanti. Seleka è responsabile di stupri, bombardamenti, razzie nei villaggi, esecuzioni sommarie, torture di civili e addestramento di bambini-soldato. Si stima che oltre 3500 ragazzini siano stati arruolati. Spesso questi piccoli sono orfani ed i loro genitori sono stati uccisi dagli stessi membri di Seleka. Ci si chiede il perché della loro adesione e fedeltà totale al gruppo. Uno di essi ha riposto così: ”Perché ora sono loro a darmi da mangiare”.

Il loro leader, il presidente Michel Djotodia, ha un nome cristano, Michel, ma solo perché quando governava il cattolico Franaçoise Bozizé era meglio stare dalla sua parte per goderne tutti i benefici possibile. In realtà è sempre stato musulmano, sebbene non osservante.

D’altra parte anche Bokassa aveva cambiato religione. Lui aveva fatto il percorso inverso, passando da cristiano (i missionari che l’avevano educato volevano addirittura che diventasse prete tan’era devoto!) a musulmano con il nome di Salah Eddine Ahmed Bokassa. Il tutto (spesso accade in Africa) per motivi di pura convenienza: intendeva compiacere Gheddafi per poter godere, almeno un pochino, delle ricchezze del rais libico.

Il golpe di marzo ha prodotto quasi subito quattrocentomila sfollati. In alcune zone del paese il colpo di Stato si è trasformato in una vera e propria guerra di religione. Musulmani contro cristiani. Una mattanza infinita- La situazione è precipitata ulteriormente, quando il 13 settembre 2013 il presidente Michel Djotodia ha ordinato lo scioglimento dei gruppi Seleka.

Il 5 dicembre 2013 il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha approvato l’invio di truppe francesi e dell’Unione Africana nella Repubblica Centrafricana. Ma i crimini continuano senza sosta e proseguono le uccisioni di civili, malgrado la presenza del “corpo di pace”. I soldati proteggono solo il centro di Bangui; le periferie non godono di alcuna sicurezza, afferma un padre salesiano in un’intervista di qualche giorno fa a Radiovaticana .

Un aspetto molto preoccupante è la sovrapposizione tra gruppi armati organizzati e gruppi di civili ribelli, chiamati “anti-balaka” che nella lingua sango significa “anti –macete”. Una situazione difficilmente controllabile e a farne le spese, come sempre, la popolazione civile, i più deboli : donne e bambini.

Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
twitter @cotoelgyes

maxalb

Corrispondente dall'Africa, dove ho visitato quasi tutti i Paesi

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