Pace. Un sostantivo inflazionato – giustamente – da parte del mondo dei media in questi giorni di tensioni e paure per quanto potrebbe accadere in Siria. Ma un sostantivo spesso invece sconosciuto da quello stesso mondo dei media che sembrano ignorare i numerosi conflitti in giro per il pianeta. Conflitti che, guardando bene, vedono più o meno gli stessi protagonisti (almeno da una parte della barricata) che riescono però abilmente a celare i loro interessi, ed il loro intervento, dietro una facciata di coflitto etnico e locale.
Una di queste situazioni, assai importante, almeno nell’ambito dei numeri (oltre 8 mln di morti negli ultimi anni), è quella dei due Kivu, le due province dell’est della Repubblica Democratica del Congo che confinano con il Rwanda ed il Burundi. Eserciti più o meno regolari, gruppi di guerriglieri e banditi vari, appartenenti a diverse tribù – sotto l’occhio “attento e vigile” della Monusco, il più sostanzioso contingente di caschi blu dell’Onu nel globo terracqueo che costa ai contribuenti mondiali poco meno di 1,5 miliardi di dollari all’anno, al quale si è aggiunto di recente un ulteriore “gruppo di intervento” – si contendono ufficialmente un lembo di terra. E per farlo non badano a nulla.
Lo stupro, giusto per dirne uno, è diventato un’arma di guerra sistematica che nel tempo – anche oggi – ha interessato migliaia di donne, bambini e uomini.
In questo terribile contesto è nato, per volontà dell’assemblea dei Vescovi di Congo-K, Ruanda e Burundi, l’Institut Supérior de Paix e de Réconciliation “che – come ha sottolineato monsignor Joseph Gwamuhanya, incaricato del suo sviluppo, nei giorni scorsi a Milano – vuol essere un centro culturale”. L’ISPR “interfaccerà le università dei tre Paesi con le loro risorse didattiche e scientifiche e la vita pastorale, professionale e politica così da promuovere, approfondire, potenziare e diffondere una cultura di pace nella vita sociale, culturale e politica”.
L’ISPR, ha spiegato ancora l’ex rettore dell’Univesità Cattolica di Bukavu (capitale della provincia del Sud Kivu dove ha sede l’Istituto), “opererà in ambito culturale, didattico e scientifico al servizio della leadership sociale della Regione per promuovere una esperienza concreta di riconciliazione e, a livello professionale, una “capacity bulding” per la pace, l’amicizia, la collaborazione tra i popoli della regione per uno sviluppo armonioso, duraturo e auspicabile per tutti”.
L’ISPR, ha detto ancora Gwamuhanya, si rivolge ai laureati dei tre Paesi che potranno frequentare un Master complementare che prevede corsi teorici seminari, stage sul campo. Cinque le tematiche individuate che gli studenti potranno affrontare ed approfondire: le risorse naturali (vera causa del conflitto, ndr), ambiente, pace e sviluppo durevole; media, pace e conflitti; violenza sessuale, pace e conflitti; buongoverno, cultura della pace e del buon vivere e, infine, educazione alla pace. Una pace che, in queste zone, rimane al momento un sostantivo svuotato di ogni significato che, invece, Joseph Gwamuhanya e l’ISPR vorrebbero contribuire a riempire ed attuare.
Michele Februo
Nella foto monsignor Joseph Gwamuhanya fotografato durante la sua visita a Milano
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