Speciale per Africa ExPress
Sandro Pintus
Firenze, 8 settembre 2017
Nemmeno la mediazione dell’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) è servita. Riguardo alla situazione dei pigmei Baka il WWF (Fondo mondiale per la natura) si è rifiutato perfino di impegnarsi a garantire l’ottenimento del consenso degli indigeni del Camerun sulla gestione futura delle aree di conservazione create nelle foreste indigene dall’associazione ambientalista.
Lapidario il commento di Stephen Corry, antropologo e direttore generale di Survival International: “Un risultato sconcertante ma non certo sorprendente”. E sorprendente lo è senza dubbio viste le magagne denunciate da Survival sull’atteggiamento del WWF verso i popoli della foresta nel bacino del fiume Congo.
“Le organizzazioni per la conservazione dovrebbero assicurarsi che vi sia il ‘consenso libero, previo e informato’ per le terre che vogliono controllare – ha dichiarato Corry – Questa è stata la politica ufficiale del WWF negli ultimi venti anni. Ma questo consenso non viene mai ottenuto nella pratica, e il WWF non si è voluto impegnare per assicurarlo in futuro nell’ambito del suo lavoro. Adesso è chiaro che il WWF non ha alcuna intenzione di cercare, tanto meno assicurare, il consenso formale delle comunità a cui ruba le terre in collusione con i governi. Dovremo trovare altri modi per spingere il WWF a rispettare la legge, e la sua stessa politica.
Da diversi decenni, le popolazioni pigmee Baka, Bayaka, Batwa e altre etnie come Fang, Djem, Nzimédi, subiscono pesanti minacce e umiliazioni. Sono continuamente vessati e intimiditi dalle squadre anti-bracconaggio finanziate attraverso i progetti di conservazione del WWF.
Le guardie forestali continuano a usare violenza gratuita soprattutto verso i pigmei: vengono picchiati, torturati, arrestati. Tra di loro ci sono stati dei morti – anche bambini – a causa delle violenze subite.
I Baka vivono tra Camerun, Gabon e Africa centrale sin dal dal 1500 a.C. e oggi sono circa 30mila persone. Per loro la foresta non è solo fonte di cibo ma anche un luogo sacro e di sepoltura dei loro morti e degli antenati ma anche base fondamentale della loro cultura e religione.
Djami è un Baka. La sua comunità è stata sfrattata illegalmente dalle terre ancestrali per far spazio a un parco nazionale. Anche sua figlia di 10 anni è stata picchiata: “Le squadre anti-bracconaggio uccidono le persone. Hanno ucciso Lapo e Mimbo che non avevano fatto nulla. Sono morti a causa dei pestaggi – racconta in un video girato da Survival -. Ci fanno soffrire senza alcuna ragione, ecco perché vogliamo che le squadre non vengano più qui. Senza motivo hanno picchiato anche mia figlia che è solo una ragazzina e l’hanno percossa nel nome della protezione degli elefanti. Né io ne lei uccidiamo elefanti”.
Secondo Survival, dagli anni ‘90, la loro situazione sanitaria è peggiorata a causa dell’impossibilità di procurarsi il cibo nella foresta e ad avere accesso ai loro luoghi sacri.
Gli uomini delle squadre anti-bracconaggio sono diventati i carnefici di queste popolazioni di cacciatori-raccoglitori che rischiano di scomparire per sempre, nonostante siano coloro che custodiscono la foresta e ne siano i migliori conoscitori.
Dai guardaparco viene loro impedito di cacciare e raccogliere frutta e erbe per nutrire le loro famiglie nei territori che gli appartengono da migliaia di anni. Le loro abitazioni e i loro villaggi vengono distrutti in nome della conservazione di aree della foresta pluviale, progetti gestiti dal Fondo mondiale per la natura. E nessuno ha mai chiesto il loro coinvolgimento nei progetti di conservazione del Wwf.
Survival, come movimento mondiale per i diritti dei popoli indigeni, ha lanciato pesanti accuse anche contro la Wildlife Conservation Society (WCS) – organizzazione legata agli Zoo del Bronx e di New York.
Secondo Survival, WWF e Wcs sono in partnership con diverse compagnie del legname. Tra queste aziende che hanno la concessione sul taglio degli alberi delle foreste pluviali troviamo Rougier, Cib e Sinfocam.
Mentre WWF e Wcs con Rougier, Cib e Sinfocam e altre compagnie con l’alibi della conservazione sfruttano le foreste e fanno il possibile per espellere illegalmente le popolazioni dai loro territori, Survival propone un Manifesto per un nuovo modello di conservazione.
Si tratta di un appello che mette al centro i diritti dei popoli indigeni e tutti possono aderire. Sono già state superate le 15mila firme tra cui anche quelle del filosofo e teorico della comunicazione, Noam Chomsky; l’ambientalista e attivista politico britannico, George Monbiot; lo scrittore britannico e consulente per la sostenibilità, Tony Juniper; sir Tim Smit co-fondatore dell’Eden Project e Greenpeace.
Sandro Pintus
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