Per combattere i ribelli Gibuti chiede aiuto all’Etiopia che manda l’esercito

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Massimo AlberizziSpeciale per Africa Express
Massimo A. Alberizzi
Milano, 5 marzo 2017

L’Etiopia è scesa in campo per aiutare il governo di Gibuti che sta tentando di fermare i ribelli del FRUD (Front pour la Restauration de l’Unité et de la Démocratie) sempre più aggressivi. La richiesta di intervento è partita dal presidente gibutino Ismail Omar Guelleh che conosce la fragilità del suo esercito, le Forces Armées Djiboutiennes. Ma la decisione del leader deve essere stata presa dopo aver sentito la Francia, il grande alleato garante dell’indipendenza della sua ex colonia.

Gibuti Auto con stemma Guelleh

La risposta di Addis Abeba non si è fatta attendere. Un buon numero di miitari dell’Ethiopian National Defense Forces si sono raggruppati alla frontiera con Gibuti il 1° marzo e due giorni dopo, il 3 marzo, otto camion carichi di soldati armati di tutto punto hanno attraversato il confine a Alayto-le-Boyna. Gli uomini del FRUD, che controllano una piccola fetta di territorio, hanno fatto sapere che non avere nessuna intenzione di sospendere igli attacchi alle guarnigioni governative.

Ismail Omar Guelleh a Parigi durante un summit per la pace in Africa nel 2013 . Feferberg/AFP
Ismail Omar Guelleh a Parigi durante un summit per la pace in Africa nel 2013 . Feferberg/AFP

Sono mesi che i dirigenti dei ribelli accusano il governo di continue violazione dei diritti umani. A Gibuti convivono due etnie entrambe di religione musulmana: i somali, che detengono il potere e l’hanno sempre detenuto, e gli afar, che sono distribuiti tra Eritrea, Etiopia e l’ex colonia francese, e hanno dato vita al FRUD.

Il presidente Guelleh, al potere dal 1999, scelto dal suo predecessore, il primo leader del Paese e suo zio, Hassan Gouled Aptidon, già membro dell’assemblea nazionale francese, e succedutogli pacificamente, sta negli ultimi mesi subendo ripetuti attacchi specie dopo il massacro del 21 dicembre 2015 quando, durante una cerimonia tradizionale a Bukdhuqo, nei dintorni della capitale, l’esercito ha sparato sui civili facendo almeno 70 morti e un numero doppio di feriti.

Dal 2010, dopo aver fatto modificare la Costituzione per consentirgli di restare al potere ben oltre il suo secondo mandato, ora è già al quarto, il presidente sta circondandosi solo di fidati consiglieri e ministri della sua famiglia. L’ultima mossa, il marito della figlia nominato ministro della Sanità. Il suo comportamento, piuttosto spregiudicato, sta creando tensioni anche all’interno del suo partito, il Rassemblement populaire pour le Progrès. Il suo gruppo detiene saldamente in mano il potere economico, il grande business, e i posti principali dell’esercito, della polizia e dell’amministrazione pubblica. Mentre il clan presidenziale si arricchisce sempre più, l’80 per cento dei gibutini vive sotto la soglia di povertà. La situazione economica disastrosa, con i prezzi alle stelle, e la repressione del regime dove l’uso della tortura è comune, hanno costretto molta gente a scegliere la via dell’esilio. In diecimila su una popolazione di ottocentomila abitanti, sono scappati in Etiopia, in Yemen e perfino in Somaliland, dove il clan al potere, issak, sono da sempre in antagonismo con quello che vive e governa a Gibuti, issa.

 L’opposizione politica è fortemente divisa e alle ultime elezioni presidenziali non è riuscita a esprimere un candidato unico, cosa che ha spianato la strada al quarto madato di Guelleh. E mentre i capi litigano in attesa di trovare un’impossibile unità per le politiche del 2018 la collera della gente verso un regime rapace aumenta e il FRUD, opposizione armata ingrossa i suoi ranghi.

Massimo A. Alberizi
massimo.alberizzi@gmail.com
twitter @malberizzi

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